top of page
Cerca
  • Immagine del redattoredott.ssa Noemi Taddio

Quando lo Psicologo sbaglia

Quando possiamo dire che lo psicologo fallisce il lavoro? E come poter affrontare questo momento?




Quando lo psicologo sbaglia

Sicuramente la scelta di intraprendere un percorso psicologico presuppone il desiderio di conoscersi meglio, di affidarsi ad un altro, e l'impegno nel migliorare il proprio stato (mentale e fisico). Spesso durante un percorso, in cui si trattano argomenti dolorosi e faticosi, si può percepire senso di impotenza, sensazione di confusione, e volontà di interrompere la terapia.


Ovviamente, anche in un percorso di terapia, come in ogni altro ambito umano, lo psicologo può sbagliare. Anzi, non può non sbagliare. Così come Winniccott affermava che sia impossibile essere una "madre perfetta", così il terapeuta non può essere perfetto, ma deve essere "sufficientemente buono". Per approfondire questo argomento e saperne di più su cosa fa davvero uno psicologo, vi invito a leggere questo articolo: https://noemitaddio.wixsite.com/mindlab/post/psico-advisor-cosa-fa-lo-psicologo-e-come-sceglierlo



Quindi come capire se si tratta di un errore che può trasformarsi in una risorsa all'interno del percorso stesso o invece il segnale che il terapeuta non è giusto per noi?


Kohut, psicanalista austriaco, ha per primo concettualizzato l'errore in terapia: egli affermava che anche all'interno di un percorso di psicoterapia caratterizzato da grande sintonia e collaborazione, avvengono delle "rotture" tra terapeuta e paziente. Questo vuol dire che il terapeuta talvolta non è sufficientemente empatico, non comprende le comunicazioni del paziente o esprime un'emozione o una reazione che è traumatogena per il paziente. Questo sicuramente genere all'interno della relazione uno stato confusivo (come aver perso la bussola), sensazioni di disagio e desiderio di allontanarsi.


Le rotture dell'alleanza terapeutica sono state definite come “momenti di tensione o breakdown nell'alleanza tra il terapeuta e il paziente, che generano emozioni intense negative” (Safran & Muran, 2000)

Tuttavia l'errore e lo sbandamento, se riconosciuto tempestivamente dal terapeuta e tollerato dal paziente, può rappresentare un importante miglioramento all'interno del percorso di terapia. Consente di aprire una fase nuova, delicata e importante della terapia: la riparazione della rottura e il recupero dell'alleanza terapeutica.

Questa fase consente al terapeuta di esplicitare un ciclo interpersonale disfunzionale che è solitamente inconscio (azione del paziente e reazione del terapeuta che hanno portato alla rottura) e a promuoverne il cambiamento, a modificare e condividere con il paziente un nuovo piano di cura, a individuare quindi nuovi obiettivi e strumenti, ristabilendo un sistema di relazione con il paziente di tipo cooperativo.

Insomma, consente al terapeuta di "raddrizzare il tiro" e al paziente di raggiungere una nuova consapevolezza rispetto ai meccanismi inconsci che si attivano in lui (e di conseguenza negli altri), di individuare nuovi obiettivi e apprendere nuovi strumenti in un contesto cooperativo.


"La strada era sconnessa e scivolosa. Il piede mi è scivolato mandando l'altro piede fuori strada, ma mi sono ripreso e mi sono detto: 'Sono scivolato, non sono caduto.'" (A. Lincoln)


Quindi come abbiamo visto, lo psicologo all'interno della terapia sbaglia. Questo errore, se adeguatamente tollerato ed elaborato da entrambe le parti (terapeuta e paziente) può diventare un'importante strumento di terapia.


Ma quand'è allora che una terapia fallisce o ci accorgiamo che quello psicologo non è quello giusto per noi?



Il fallimento della terapia

Una terapia si può dire fallita nel momento in cui il terapeuta, per svariati motivi e per un tempo prolungato, non riesce ad accogliere adeguatamente la sofferenza del paziente, non riesce ad individuare e condividere con lui gli obiettivi di cura, o non riesce a identificare e condividere strumenti efficaci per promuovere il cambiamento.

Come abbiamo detto prima, è importante sottolineare che questa condizione non deve essere puntuale bensì prolungata per il tempo di qualche seduta, per differenziare invece l'errore o lo sbaglio in un singolo momento che possono sempre capitare.


Per questo motivo, è sempre bene da parte del terapeuta specificare, in prima seduta, di potersi ritagliare insieme al paziente un numero sufficiente di incontri per conoscersi e per valutare la propria "compatibilità" e poter quindi partire con il lavoro vero e proprio.

Spesso per capire se uno psicologo è adatto a noi bastano poche sedute. A questo proposito vi invito a leggere l'articolo dedicato a questo argomento:



Il percorso di terapia deve necessariamente partire dalla domanda e dai bisogni del paziente. Talvolta il terapeuta può, per motivi personali o professionali, non riuscire ad accogliere adeguatamente la sofferenza del paziente. Altre volte può capitare che non si definiscano insieme e con chiarezza gli obiettivi della terapia, e questo porta inevitabilmente entrambe le parti ad una sensazione di frustrazione ed impotenza dalla quale è difficile tirarsi fuori se non riconosciuta tempestivamente. Infine il terapeuta può non proporre strumenti e strategie adeguate per quel singolo paziente, non risultando efficace nel promuovere il cambiamento.


"Prima di guarire qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo hanno fatto ammalare"(Ippocrate)

Tuttavia una terapia può fallire anche per via di responsabilità del paziente, infatti non dobbiamo dimenticare che il percorso di terapia è un percorso cooperativo in cui due soggetti, terapeuta e paziente, interagiscono verso un obiettivo comune.

Lo psicologo infatti non può salvare nessuno! Non bisogna quindi sottovalutare la presenza di resistenze (spesso inconsce) del paziente al cambiamento di alcuni meccanismi disfunzionali, la mancanza di disponibilità ad affidarsi o a ricevere aiuto, o anche l'intrusione di bisogni ed obiettivi che non sono veramente del paziente ma magari di terze parti (es. i genitori, gli amici, o la società stessa..), con i quali il terapeuta non può colludere.

In riferimento a questo ultimo aspetto, un tipo di fallimento della terapia che spesso viene sottovalutato è quello per cui il terapeuta si sostituisce al paziente, imponendo il proprio pensiero o il proprio modo di percepire le necessità e i bisogni.

È importante tenere presente che il terapeuta non dà consigli, non può (e non deve!!) prendere o suggerire scelte e decisioni all'interno della vita del paziente, né tantomeno imporgli i propri bisogni o promuovere quelli di terze parti!




Benché fallire una terapia sia doloroso (per entrambe le parti), è importante "non fare di ogni erba un fascio": interrompere una terapia senza aver raggiunto gli obiettivi o capire che quel terapeuta non fa per noi, non significa che tutti gli psicologi lavorino nello stesso modo (anzi! Oltre che persone differenti, vi sono anche indirizzi di lavoro differenti!) e che non sia mai più possibile trovare quello giusto, in grado di aiutarci! Nello stesso tempo non dobbiamo considerarci "incurabili" e non dobbiamo cadere nell'errore di pensare che nessuno potrà fare niente per noi!


BIBLIOGRAFIA






Per ogni domanda, chiarimento o necessità, Mind Lab è a disposizione:

Tel: 334 915 0300 Email: noemi.taddio@gmail.com











23 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page