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La ricerca della felicità

Eros e thanatos. Principio di vita e principio di morte. Felicità o sofferenza.

Così individuava i due grandi pilastri della nostra vita il grande psicoanalista Sigmund Freud. Dividendo tutta la nostra vita psichica interiore nella scelta di percorrere una via piuttosto che l’altra. Gli esseri umani ricercherebbero la felicità, perseguendo il principio di vita, e fuggirebbero con tutte le loro forze la sofferenza, la morte.


Ma sarà davvero così? E se la ricerchiamo così strenuamente, cos'è quindi la felicità?



Alla luce delle più recenti scoperte, delle ricerche svolte negli ultimi decenni da tutte le illustri università e centri di ricerca del mondo, con l’aiuto di sempre più sofisticati strumenti derivati dalle neuroscienze, si ritiene che questa teoria sia incompleta ed eccessivamente semplicistica.


La teoria a cui faccio riferimento nella mia pratica clinica, e a cui appartengo come formazione e come stile professionale, è quella cognitiva- comportamentale, che basa i suoi insegnamenti sulle conoscenze mediche che ci arrivano dagli studi neuroscientifici e sull’analisi del comportamento umano in tutte le sue declinazioni, dalla nascita fino alla morte. Secondo questa teoria, vi sono motivazioni evoluzioniste molto più complesse alla base del comportamento umano. Esse, in particolare, derivano addirittura dalla struttura del nostro cervello e da come esso si è formato e modificato nel corso dell'evoluzione della specie.


Il Cervello tripartito

Una delle teorie più esemplificative di queste spinte evoluzionistiche si basa sul modello del cervello tripartito di MacLean, elaborata alla fine degli anni '70.





Secondo questa teoria, l’organizzazione del nostro cervello sarebbe suddivisibile in tre parti differenti, sviluppatesi in periodi successivi una dall'altra e ognuna con una sua funzione e un suo preciso scopo evoluzionistico.

La prima parte, la più semplice e la più antica, è quella definita da MacLean "cervello rettiliano" (che oggi, secondo la terminologia delle neuroscienze chiameremo Tronco dell'Encefalo). Questa parte, evidenziata nella figura in rosso, è comune a tutti gli esseri animali, a partire dai rettili. Essa è preposta alle funzioni basilari di sopravvivenza della specie: assicurarsi una tana sicura, proteggere il territorio, difendersi dai pericoli (sistema di difesa attacco/fuga), garantirsi del cibo, riprodursi.

La seconda parte, che MacLean definisce "cervello limbico", è invece quella che abbiamo in comune con tutti gli altri mammiferi, è quindi di più recente sviluppo all'interno della filogenesi. I mandati che questa area ci propone si basano su un unico importante precetto: "non fare tutto da solo". Questa spinta motivazionale, attraverso l'utilizzo delle emozioni, la loro espressione, ci consente di intrecciare relazioni e legami con altri simili. Questo mandato si articola in altri movimenti, definiti Sistemi Motivazionali Interpersonali, che orientano il nostro comportamento all'interno dei rapporti sociali: attaccamento, accudimento, agonismo/rango, cooperazione paritetica, sessualità ritualizzata, appartenenza.

Infine vi è quella parte del cervello tipicamente umana, evidenziata in verde nella figura, costituita nella Neocorteccia, la struttura più recente all'interno della struttura cerebrale e la parte più strettamente "razionale". Essa ci fornisce il mandato di cercare e trovare un senso e un significato ad ogni nostra attività, ad ogni interazione, ad ogni aspetto della nostra vita. Senza un senso ed un significato la vita ci appare vuota, inconsistente, senza motivo. Questo mandato ci spinge dunque a trovare, attraverso una narrazione (che può essere condivisa), parole, discorsi, tempi e immagini, per raccontare e raccontarci.


Tutto questo può dunque essere semplificato e banalizzato con la ricerca della sola felicità?


Cos'è la felicità?

La felicità quindi può essere descrivibile attraverso i bisogni evolutivi, le spinte e le motivazioni che muovono l'essere umano. La risoluzione di questi compiti porta l'uomo a sentirsi sicuro, realizzato, in equilibrio.

Possiamo quindi considerare la felicità non come un'entità univoca, ma come una moltitudine di aspetti fisiologici, emotivi, cognitivi e relazionali che vanno a comporre un puzzle molto intricato.

All'interno di questi aspetti, come si inserisce la tristezza, la rabbia, gli aspetti più bui delle relazioni umane, i pensieri negativi, i traumi e tutto ciò che dalla felicità si distanzia?


Una nuova teoria della felicità

La vita di tutti infatti è costellata da piccole sofferenze: qualche delusione a scuola, qualche amicizia che finisce, qualche sconfitta nello sport, qualche sogno infranto, qualche momento di sconforto. Vi sono poi persone che nel corso della vita affrontano sofferenze maggiori: lutti importanti, traumi, violenze, abbandono. Chi vive queste esperienze e sensazioni negative non è dunque felice? Queste persone, con una vita travagliata e piena di sfide, non possono dunque trovare la felicità?


Io non credo. Sia da un punto di vista strettamente umano e personale, sia appoggiandomi sulle conoscenze professionali. La felicità non è avere una vita senza dolori o sofferenze, perché sarebbe piatta e irreale, ma è riuscire ad affrontare, attraversare e superare le esperienze negative che la vita ci presenta, per migliorare le nostre capacità, per conoscere meglio parti di noi stessi, per incrementare le nostre risorse e mantenere uno stato di omeostasi interna maggiore possibile.

La felicità non è un punto fisso a cui aspirare, ma è una realtà sempre mutevole, che costruiamo e poi buttiamo giù, che proviamo nel profondo del cuore e poi continuiamo a inseguire e modificare.




Se possiamo utilizzare una metafora, un’immagine, la felicità è come fare surf. La vita ci presenterà una piccola increspatura in un mare calmo e tranquillo o un’onda alta come un palazzo di tre piani… la nostra felicità sarà affrontare queste esperienze appieno, godendo di ogni piccola goccia che compone l’onda, non tralasciandone nessuna, addentrarci nella possibilità che ci sovrasti e non farci disarcionare, ma invece uscirne con un nuovo equilibrio. Per essere felici non vogliamo trovarci di fronte un mare piatto e senza vento, ma vogliamo sapere di poter affrontare ogni onda.


Dott.ssa Noemi Taddio

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